sabato 24 novembre 2007

dedicato ai calabresi che invadono allegramente il mondo, e ai cinefili

dopo di che si fece molto tardi. dovevamo scappare tutt’e due, ma era stato grandioso rivedere Annie, uhm.. mi resi conto che donna fantastica era e di quanto fosse divertente solo conoscerla. e io pensai a… a quella vecchia barzelletta, sapete, que... quella dove uno va dallo psichiatra e dice -"dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina" e il dottore gli dice -"perché non lo interna?", e quello risponde: -"e poi a me le uova chi me le fa?". beh, credo che corrisponda molto a…a quello che penso io dei rapporti uo...uomo-donna e cioè che sono assolutamente…irrazionali e pazzi e assurdi e... mm...ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.
[dal film Io e Annie, di quel geniaccio ipocondriaco e autoironico di zio woody]

martedì 6 novembre 2007

Una giornata (quasi) perfetta.


quando ho poggiato i piedi per terra, l’altra mattina, nulla lasciava presagire che qualcosa di speciale vorticasse nell’aria.

pantofole, bagno, colazione. solito giro in cerca di lavoro. un pomeriggio passato a fare un po' di pulizia tra i file musicali del computer.

poi tutto è cominciato. piano piano, senza che me ne accorgessi.

ho riscoperto un sacco di cose che non sentivo da tempo, così ho alzato il volume su una vecchia canzone di guccini, e ho sorriso. poi fiorella mannoia. e ho iniziato a cantare. d'un tratto mi è venuta voglia di fare una doccia calda, rilassante. ma appena ho aperto il rubinetto della vasca mi è venuto automatico mettere il tappo. bagno, e sia. ho aspettato trepidante che l’acqua bollente riempisse la stanza di vapore, ho versato il pino silvestre guardandolo fare le bolle, una schiuma profumata e iridescente. poi lentamente mi sono immersa in quell’atmosfera fumante. e ho ascoltato. la musica, di là in camera. il mio corpo che assorbiva calore e si rilassava. l’acqua che sciabordava contro le pareti della vasca e mi accarezzava le orecchie. e i miei pensieri, magicamente tranquilli e sereni. non so quanto tempo sia rimasta lì, a farmi cullare nel più completo abbandono.

la sera sono stata all’auditorium: concerto di ludovico einaudi. come al mio solito sono arrivata di corsa e concitata, all’ultimo momento. ma ecco, sono in sala. mi sono seduta sulla mia poltroncina rossa, si sono spente le luci. e subito è stato silenzio. tutto sul palco era nero e luce, poi il pianoforte ha vibrato le sue prime note nell’aria. è stato come un fiume in piena, un fuoco caldo che dallo stomaco mi ha pervaso il corpo, facendolo risuonare all’unisono con la musica. Ho pianto, i primi dieci minuti. sorridendo. poi mi è venuto da pensare a mille cose, e la mia mente è andata a ruota libera, in un susseguirsi di immagini e sensazioni. La mano di sara sul suo pancione, il suo sguardo luminoso. le coccole di mia mamma. una giornata di pioggia a guardare fuori con la fronte sul vetro rigato di gocce. gli sguardi complici con mia sorella. una chiacchierata memorabile con un'amica davanti a una cioccolata calda. le mani di mio papà. e mi è venuta voglia di ballare al tramonto sulla spiaggia, con uno scialle rosso. di camminare a piedi nudi su un prato in primavera. di stare con i miei amici, di ridere con loro. di guardare il mare, il cielo e l'orizzonte, come sulle calanques. E mi è venuta voglia di fare l’amore, fare l’amore, fare l’amore.

mercoledì 24 ottobre 2007

e la mente va...

Sono sul treno. sto leggendo "come smettere di farsi le seghe mentali". mi sono accoccolata contro il finestrino, ho allungato le gambe e mi sono rilassata dopo l'ennesima corsa per non perdere il treno. sono una donna in ritardo. perennemente in ritardo.
leggo mezza pagina e poi alzo lo sguardo al cielo. com'è bello il cielo dal finestrino di un treno. il sole è appena sorto, c'è ancora una luce dorata che timida si fa spazio tra le nuvole piatte per abbracciare il mondo. a fianco a me, in alto, corre sicuro un filo elettrico, fedele compagno di viaggio.
l'elettricità.. oddio, non sto dando retta ai consigli elargiti dall'autore del mio libro... è tutta colpa del treno. e del cielo mattutino. fanculo. ho deciso che è meglio seguire joyce.
guaro il filo e mi domando come funziona un treno, perché si muove. grazie, lo sapevo anche prima che è per l'elettricità... ma cosa vuol dire? una volta era più semplice capire il mondo, conoscerlo. bastava guardare un po' a fondo, magari. ma bastava osservare. punto. benedetto metodo scientifico!

una stanza illuminata.

c'è una candela poggiata sul tavolo che proietta ombre lunghe e danzanti. è semplice. lo stoppino, la cera, il fuoco. è tuto sotto i nostri occhi, senza segreti. nessun trucco.

c'è un lampadario che pende dal soffitto. una lampadina illumina la stanza in maniera omogenea, netta, precisa. stavolta è più complicato. il vetro, i filamenti di tungsteno, i cavi elettrici, l'interruttore. e l'elettricità. un'energia misteriosa che si nasconde, da qualche parte. ci sfugge, divertita, sorride sorniona. ha potere, lei.

sarebbe bello poter smontare la cassetta di un interruttore, staccare e tagliare qualche filo e capire. come una volta, quando bastava guardare dentro, alle cose, per comprendere il mondo. come da bambini. abbiamo disimparato a farlo. gli automatismi ci hanno tarpato le ali, rendendo le cose scontate alla vista e alla mente.
per questo facciamo fatica a osservare a fondo, e il senso di tutto ci sfugge.
per questo faccio fatica a leggere l'animo umano, a capire i comportamenti di chi mi circonda.
per questo faccio fatica a leggere persino me stessa.

martedì 16 ottobre 2007

liberiamoci

Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà. Alexis de Tocqueville



sabato 13 ottobre 2007

nostalgia

Ci sono anime che hanno stelle azzurre, mattini sfioriti tra le pagine del tempo, casti cantucci che conservano un antico sussurro di nostalgia e di sogni. Federico Garcia Lorca

sì, nicola. basta poco.

i ricordi capitano, all'improvviso. quando meno te lo aspetti. e ti ritrovi impreparata, sopraffatta da un groviglio di emozioni che non ti fa trattenere una lacrima. proprio no. ti avvinci piano a quella bambola uguale alla tua. anzi, no. è la tua. Camilla. ti ritrai e sorridendo non riesci a giustificare gli occhi umidi con una collega adulta che un po' ti prende in giro. ti avvicini ancora, esitante e stupidamente felice, al banchetto che espone i giochi di una volta. anche lei è lì, la tua bambola di stoffa. vorresti prenderla, stringerla forte e consolarla,perché sarà confusa e spaesata in mezzo a quegli altri giochi che non conosce. alla fine con un po' di amarezza ti rassegni a fare l'adulta, ti volti e prosegui oltre. ma avresti voluto tanto rapirla e portarla via con te, di nuovo.

un pomeriggio come tanti, tra le strade grigie di una roma stranamente bagnata. un pomeriggio in cui ti capita di entrare in un supermercato. e un ragazzo giovane, più giovane di te, ti fa notare, vicino alla cassa, dei tubi bianchi con strisce blu e scritta rossa. sei sorpresa di trovarli ancora. sei stupita che ne sia attratto anche il ragazzo davanti a te. e li compri. devi. quando ti capiterà ancora di ritornare bimba, così, in un momento, senza fartene accorgere da nessuno? di assaporare in segreto le ginocchia sbucciate, gli abbracci e i sorrisi di tua mamma, il solletico di tuo papà, il topino dei denti, il pongo, le dita macchiate d'inchiostro..? basta succhiare una galatina...

a roma continua a piovere. non sembra possibile. un umidità insistente, che scava anche l'anima. pensi di distrarti dal torpore uscendo allo scoperto. così, con la scusa di compare dei biglietti per il concerto di ludovico einaudi faccio un giro all'auditorium approfittando della compagnia di un amico. ed ecco, la malinconia mi tende nuovamente una trappola. banalissima. dei mattoni ruggine, ruvidi, solcati da ordinate fughe grigie. danno l'idea di essere ricoperti dai brillantini. la stessa immagine che ti aspettava al ritorno da scuola, dai giochi in cortile o in strada, dal lungo viaggio per le vacanze estive. quel grande palazzo rosso, magari non tanto bello. ma con gli abeti davanti. con l'orto un po' più in là, con i piselli e i cetrioli. con la ghiaia dietro, davanti ai garage. con il cancello che era tuo compito aprire e chiudere, con le tue prime pedalate su una biciclettina grigia. con i vicini strani che facevano paura e quelli che ti erano simpatici. con un campo di granturco vicino e le galline nell'aia della fattoria di fronte. no, magari non tanto belli, quei mattoni rossi, per gli altri. ma per me sì. erano casa.

Rèves de moi amour perdu
Rèves moi, s’il neigera
Je suis vent et nostalgie
Je suis où tu vas

venerdì 5 ottobre 2007

eppure sono felice...

La vita di un cane è triste. I gatti ci odiano. I cavalli ci calpestano. Le fiere ci disprezzano. Ma dal tetto della mia cuccia ho una visione sconfinata. Posso vedere l’intero continente. Posso vedere il mondo intero. Posso vedere il cortile dei vicini. La mia vita non ha uno scopo, un significato. Eppure sono felice, non riesco a capire. Quali sono i miei meriti?

ogni tanto vengo assalita dallo sconforto, perché niente va come previsto. forse sarebbe meglio dire come desiderato. non c'è un ambito della mia vita che sembra prendere il verso giusto…in realtà non prende nemmeno quello sbagliato. è un po’come se fossi in stand-by, in uno stato di letargia forzata. in attesa.
allora inizio a sentirmi un peso sconfinato addosso, il cuore ogni tanto fa delle capatine in gola e fa le capriole nel petto, e certo non per gioia. inizio a fare sogni strani, concitati, nei quali devo sempre risolvere un problema (assurdo, come sempre succede nei sogni), e devo fare in fretta. mentre tutti mi osservano, ovviamente. per vedere come me la cavo. in realtà ho anche l’impressione che mi guardino con compassione, come se fossi matta a penarmi tanto per una cosa da nulla, a quanto pare, visto che loro sono così tranquilli. io continuo a non capire, a essere turbata e a insistere nell’arrabattarmi per trovare una soluzione.
poi una mattina basta che, appena sveglia, una frase amica mi faccia sorridere ed ecco…. miracolo! riempire la cassa toracica col suono stesso delle mie risa, sentire gli angoli delle labbra scoprire i denti, socchiudere gli occhi, schiacciati dalle gote… ecco, è davvero tutto svanito. non ricordo il sogno, non avverto il peso... è bastato questo. non sempre capita, ma mi accontento, perché quando succede è come rinascere. e magari non durerà a lungo, ma ne approfitto per cantare, per guardare le nuvole, per riempire i polmoni prima ritornare in apnea.

ecco, oggi sono felice, nonostante tutto. già, proprio non riesco a capire.

mercoledì 3 ottobre 2007

“Anche a me, caro Tu, mi piacciono le historie… ascolta, ascolta questa”

C’era un tempo in cui il dio della creazione chiamò tutti gli esseri a sé, e quando tutti furono al suo cospetto il dio annunciò: «Ciascuno di voi mi dirà che cosa desidera per vivere sulla terra, e io lo accontenterò».

Allora gli uomini risposero: «Vogliamo vivere in villaggi e coltivare la terra». E furono accontentati. Gli animali invece risposero: «No, noi vogliamo vivere nelle foreste, nella savana, nelle montagne». E anche loro furono accontentati. Il dio della creazione improvvisamente si accorse che c’era qualcuno che non aveva parlato: il camaleonte. Allora il dio della creazione gli chiese: «Tu, camaleonte, che cosa desideri? ». E il camaleonte gli rispose: «Io, io vorrei che mi appartenesse ogni luogo in cui andrò». E anche il camaleonte fu accontentato.

Ed è così che da quel giorno il camaleonte assume il colore di ogni luogo in cui va, e così il camaleonte si sente ovunque a casa propria.

il raccontastorie

La historia è una cosa sacra, sacra, e le historie fantastiche sono migliori tanto più sono vere. le storie sono come i fiumi: scendono dalle grandi montagne, e mentre scendono raccolgono terra, sassi, voci di altre storie, si perdono e si rincontrano finché arrivano nel mare, e nel mare tutto ricomincia.

ho voglia di raccontare una storia. la mia, forse. o forse ho solo bisogno di raccontare. punto. per questo ho aperto un blog. per fare come mio padre, che quando ero piccola inventava per me favole e fiabe meravigliose, e me le raccontava a letto, la sera. certi pomeriggi lo sentivo scrivere a macchina su una vecchia olivetti grigia, tlic tlic tlac... era il segno che c'era un nuova storia in serbo per me, presto, e aspettavo impaziente la nuova avventura. adesso che sia io che mia sorella siamo cresciute, a chi può raccontare questo bisogno impellente di fantasia, chi ha voglia di ascoltare quelle storie? così dopo tanti anni ha ripreso in mano il suo sogno, custodito in un cassetto della scrivania assieme ai tanti fogli dattiloscritti, e sfrutta il solo modo che conosce per farli vivere: pubblicarli su carta. bravo, papà. ho deciso di seguirti nelle tue peripezie di narratore, di condividere questa vanità dell'essere creatori di una verità. perché io ci credevo, alle tue storie. il topolino che parlava, l'alchimista col mantello... erano reali, esistevano davvero, erano miei amici. ma ti seguirò a modo mio, con questo blog. per percorrere, vicini, due strade diverse ma parallele, e per seguirti mano nella mano, come quando ero bambina.